Il reato di diffamazione è disciplinato all’art. 595 del codice penale e punisce con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a € 1.032 chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione.
Occorre sin da subito chiarire che non costituisce reato rivolgersi in modo offensivo direttamente alla vittima (tutt’al più potrà dirsi mero illecito civile). Infatti la diffamazione è costituita da un’offesa pronunciata in presenza di più persone ed in assenza della vittima. Dunque sorgerà una responsabilità penale soltanto in presenza di alcune precise circostanze:
1) Viene offesa l’altrui reputazione
La reputazione può dirsi lesa quando si danneggia l’immagine personale, morale o professionale di una persona. Non è facile la valutazione relativa alla offensività o meno delle parole proferite in quanto tale giudizio richiede un equo bilanciamento tra la tutela della reputazione, costituzionalmente garantita e sancita nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e il diritto di libera manifestazione del pensiero, anch’esso previsto in Costituzione. E’ pertanto fondamentale stabilire, caso per caso, quando una determinata espressione rappresenti o meno libera critica.
2) La vittima è assente
Tale circostanza è ciò che differenzia il reato di diffamazione dall’ingiuria, depenalizzata nel 2016 a semplice illecito civile. La giurisprudenza, in tempi recenti, ha affermato che il reato di diffamazione si configura anche quando le espressioni lesive della reputazione avvengano all’interno di una chat in cui è iscritta la vittima, purchè questa non sia connessa.
3) L’offesa viene comunicata ad almeno 2 persone
Affinchè si configuri il reato è necessario che le frasi lesive della reputazione vengano comunicate a più persone. Lo stesso può dirsi quando la comunicazione avviene nei confronti di una persona soltanto ma l’autore sa che questi diffonderà il messaggio. A nulla rileva se lo stesso fatto, riferito alla stessa persona, venga comunicato a più soggetti in circostanze di luogo o di tempo distinte.
Ma quando sussiste la giustificazione del diritto di critica?
Il confine tra diritto di critica e diffamazione è molto sottile e va accertato caso per caso. Il Giudice valuta la moderazione delle espressioni, il limite del socialmente accettabile, lo scopo delle dichiarazioni. Quando si accerta che quanto comunicato lede i valori fondamentali della persona, tanto che la persona offesa sia stata esposta al “pubblico disprezzo”, può dirsi configurata la diffamazione.
La Corte di Cassazione, nel tempo, ha individuato dei criteri per determinare l’esercizio del diritto di critica, capace di giustificare i fatti astrattamente qualificabili come diffamatori:
1) La veridicità dei fatti
Attribuire ad altri fatti non veri non potrà mai consentire di qualificare l’espressione comunicata come “opinione”. Pertanto la comunicazione di un fatto non vero, se lesivo della reputazione, costituisce reato.
2) La pertinenza degli argomenti
L’esercizio del diritto di critica non può prescindere dalla pertinenza al fatto narrato. L’offesa deve essere necessaria allo sviluppo di un giudizio valutativo.
3) La continenza espressiva
Il fatto comunicato deve avere un interesse pubblico e deve essere comunicato con forma espressiva equilibrata.
Come provare una diffamazione al fine di querelare l’autore del reato?
La vittima per poter querelare il diffamatore deve essere in possesso delle prove, che siano in grado di sostenere l’accusa in giudizio. Trattasi delle testimonianze di chi ha ascoltato la maldicenza oppure, ancora meglio, la registrazione delle espressioni lesive della reputazione, comunicate a più persone. Nel caso in cui la condotta diffamatoria sia stata portata a termine in una chat o in qualche social network è possibile allegare, unitamente alla querela, gli screenshot delle comunicazioni.
A presto
MN