Il tema della legalizzazione delle droghe leggere coinvolge da sempre i dibattiti politici del nostro paese, quest’ultimo caratterizzato da un binomio partitico fatto di aspre contrapposizioni ideologiche sul punto. E nessuno intende rinunciare alla propria “integrità” di valori.
Fortuna che, come spesso accade, laddove sovrana è l’inerzia italiana, intervengono le autorità sovrannazionali “scuotendo” l’animo ignavo del nostro Legislatore.
Il 19 novembre scorso, statuendo su di un ricorso promosso da un’azienda francese, la Corte di Giustizia Europea ha deciso che il principio attivo della pianta, il cosiddetto Cbd, non dev’essere trattato come una sostanza stupefacente e che i prodotti che lo contengono possono circolare in Europa anche se un solo membro ne autorizza il commercio. Questo provvedimento è stato recepito nel nostro paese con decreto del Ministro della Salute.
Il 2 dicembre, con una decisione che sarà pietra miliare del cambiamento sul tema, la Commissione droghe delle Nazioni Unite ha votato per eliminare la cannabis dalla tabella che riconosce il potere terapeutico di piante e sostanze sotto controllo internazionale evidenziandone la pericolosità per la salute pubblica. Lo stesso giorno, la Commissione europea ha chiarito che i prodotti contenenti Cbd frutto di gambi, foglie e fiori della pianta possono essere inseriti nella lista dei “novel food” (nuovi alimenti) dell’Ue dando il via libera per il loro finanziamento coi fondi della Politica Agricola Comune.
Insomma, per l’Unione Europea la cannabis non è più una sostanza pericolosa!
Ma vi è di più!
Il 2 dicembre le Nazioni Unite hanno riconosciuto ufficialmente le proprietà medicinali della cannabis in un voto espresso a Vienna dagli Stati Membri nel corso della Commissione droghe delle Nazioni unite (Cnd), l’organo esecutivo per la politica sulle droghe. La cannabis viene quindi eliminata dalla tabella 4, quella delle sostanze ritenute più pericolose, proprio per i suoi impieghi terapeutici.
A seguito di questi interventi sovranazionali ci si auspica, per lo meno, una definitiva presa di posizione in Italia. Allo stato, infatti, da una parte abbiamo una proposta di legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione, rimasta inevasa alla Camera dei Deputati da oltre 4 anni. Dall’altra parte la Commissione Giustizia pare impegnata a legiferare la proposta leghista di indurire le pene per la detenzione e il consumo delle sostanze stupefacenti.
Ma al netto delle augurate riforme, qual è l’attuale regime normativo in Italia?
Legislazione italiana in materia di cannabis
Attualmente in Italia la disciplina sulle droghe è regolata dal testo unico sulle droghe, d.p.r. 309/1990.
Con riferimento alla cannabis è reato lo spaccio anche a titolo gratuito (semplice cessione) ma non il possesso per l’uso personale. Quest’ultimo costituisce un illecito amministrativo punibile con una sanzione pecuniaria e non pregiudica il casellario giudiziale (quella che comunemente viene definita “fedina penale”).
Ad ogni modo l’essere sanzionato per il possesso di cannabinoide per uso personale non è così poco spiacevole come sembra.
Unitamente al pagamento di una sanzione pecuniaria, chi viene colto in possesso della sostanza dovrà sopportare una o più sanzioni amministrative accessorie, quali ad esempio la sospensione della patente di guida, del porto d’armi, del passaporto o del permesso di soggiorno. In alcuni casi, addirittura, si dovrà seguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo per le tossicodipendenze!
Quando è uso personale e quando spaccio?
Poniamo il caso di Tizio che viene colto dalla Polizia in possesso di cannabis. Come capire se si è di fronte ad un’ipotesi di spaccio o di uso personale?
Il Giudice dovrà effettuare una valutazione del caso, tenendo in considerazione tantissimi fattori, come ad esempio la quantità rinvenuta, l’eventuale presenza di denaro contante e strumenti atti al dosaggio e al confezionamento della sostanza.
Se Tizio venisse quindi colto in possesso della sostanza confezionata e pronta per la cessione, sarà molto probabile che il Giudice accerti la commissione del reato, in quanto tutti gli elementi porterebbero a ritenere che Tizio detenesse la sostanza al fine di cederla a terzi.
Al contrario, se i militari accertatori rinvenissero soltanto una minima dose di sostanza non confezionata, è ragionevole pensare che Tizio sarà tenuto a pagare la sanzione pecuniaria e sopportare la sanzione amministrativa accessoria.
Quanto alla coltivazione, con una sentenza dello scorso anno (Cass. sez. un., 1234/20) la Corte di Cassazione ha stabilito che non costituisce reato, ma soltanto illecito amministrativo, se questa è “di minime dimensioni e svolta in forma domestica, attraverso pratiche rudimentali e su un numero scarso di piante”.
In realtà questa sentenza non può dirsi un “via libera” allo stupefacente “homemade” in quanto gli stessi giudici Ermellini hanno determinato dei paletti: il prodotto deve essere di “modestissimo quantitativo”, coltivato senza fertilizzanti o impianti di irrigazione.
Inoltre la Cassazione ricorda che l’eventuale sostanza ricavata è riservata al solo “coltivatore” diretto e non anche ai conviventi o a gruppi di amici.
Resta ferma, comunque, la sanzione amministrativa e le relative sanzioni accessorie per chi coltiva, in questi termini, la sostanza stupefacente.
A presto.
MN